Perché le aziende hanno bisogno di storie?

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Storie animate: vi piacciono?

Che cosa ci vedete in questo video?

Sorpresa, sorpresa: in realtà questo cartone animato non è stato pensato per avere un senso, né una trama. È infatti il frutto di un esperimento del 1944 condotto da due psicologi, Fritz Heider e Mary Simmel. I due studiosi mostrarono l’animazione a dei soggetti e successivamente chiesero loro di parlarne.

Risultato?

La maggior parte delle persone creavano vere e proprie storie, alcune anche complesse e articolate. La delusione, certo, consiste nell’apprendere che no, non c’è una trama, che quelli sono soltanto due triangoli ed un cerchio che si muovono attorno ad un rettangolo.

Eppure non riusciamo a non immaginare, a non costruire una storia intorno ai movimenti di quelle che in realtà sono semplici forme geometriche.

Il bello però sta proprio qui, perché i creatori siamo noi, con la nostra immaginazione, il potere dell’inventiva, l’abilità di creare storie, di vedere anche ciò che non esiste.

L’esperimento ha contribuito a dimostrare come funziona il cervello umano, che ha la tendenza a percepire un’intenzionalità, anche quando questa non c’è.

Non solo: questo risultato ha contribuito anche a comprendere “l’istinto umano per la narrazione”.

Il racconto: così si è evoluta la specie umana

“Il fascino delle storie attraversa tutte le culture, ed è innato. Ecco perché pensiamo che, come tutti i comportamenti che superano il setaccio della selezione naturale, anche narrare sia stato un vantaggio per la specie”.

 

Questo è ciò che ha scritto Jonathan Gottschall, docente di letteratura al Washington & Jefferson College di Pittsburgh: siamo animali narrativi e il racconto è servito, come altri comportamenti, per garantire la nostra sopravvivenza.

Gottschall ipotizza che le storie non sono solo un modo per “evadere” dalla realtà, come siamo sempre portati a pensare, ma hanno un’evidente finalità biologica: l’atto di narrare è universale e riveste un ruolo ben preciso nel percorso dell’evoluzione.

Raccontiamo storie per istinto, lo stesso che ci porta a bere, a mangiare, a dormire. Si tratta di istinto di sopravvivenza, che ci mantiene vivi e che ci fa evolvere.

La capacità e il desiderio di narrare e inventare storie compare già nei primi due anni di vita, quando inizia la fase del “facciamo finta che” e che ci accompagna più o meno tutta l’esistenza.

 

storie

 

L’accostamento tra storie e sopravvivenza non è così nuovo: basta pensare alla bella Shéhérazade, personaggio cornice della raccolta di novelle Le Mille e una notte, per la quale il racconto era questione di vita o di morte.

La sua è la parabola della creatività, della storia che incuriosisce, della magia della narrazione, del “voglio sapere come finisce”.

Questo è proprio ciò che fa lo Storytelling, vale a dire “l’arte di scrivere o raccontare storie catturando l’attenzione e l’interesse del pubblico” (secondo la definizione di Treccani).

A proposito di Storytelling

Nonostante la fortuna di questo termine sia solo recente, Storytelling sta a significare un’attività umana che è sempre esistita.

L’Homo Sapiens racconta da sempre, spiega Annamaria Testa, nota copywriter e pubblicitaria, ma a cambiare oggi sono “gli ambiti e gli strumenti della narrazione”.

Non solo siamo molto bravi a immaginare e a interpretare in termini narrativi qualsiasi evento (l’esperimento citato all’inizio di questo post ne è una valida prova), ma sono le storie stesse che hanno la capacità di essere ricordate meglio: uno studio condotto dall’Università di Stanford, ha mostrato che ricordiamo il 65-70% dei dati quando questi vengono inseriti in una storia, mentre ricordiamo solo il 5-10% di quelli nudi e crudi.

Oggi lo Storytelling viene utilizzato sempre di più dalle aziende per vendere i loro prodotti o le loro idee, perché si è capito che le storie non soltanto possono creare valore aziendale e consolidare la reputazione, ma che influenzano anche le azioni.

Uno studio condotto da Paul Zak, neuroeconomista della Claremont Graduate University, ha mostrato che quando il cervello umano viene coinvolto in una storia si alzano i livelli dell’ormone responsabile dell’empatia (ossitocina) e l’ormone che aumenta l’attenzione (cortisolo).

Le storie ci coinvolgono sul piano emotivo molto più dei ragionamenti astratti.

Libri e storie: l’empatia che conduce all’azione

La parola chiave è proprio empatia: una narrazione efficace, vale a dire in grado di catturare la nostra attenzione, ci fa sentire partecipi.

Le ricerche effettuate tramite la risonanza magnetica funzionale hanno dimostrato come l’attività nel cervello dell’ascoltatore segue e riflette l’attività del cervello di chi sta narrando. La teoria dei cosiddetti neuroni a specchio avvalora proprio questo: riusciamo a creare gli stessi sentimenti ed emozioni che un romanzo o uno schermo ci mostrano.

La simulazione avviene a livello neurale: se vediamo due persone che si baciano, il cervello umano attiva in noi le stesse cellule coinvolte in un bacio vero.

Se già in passato i ricercatori si sono accorti di come parole quali “orchidea” o “caffè” non attivino solamente le aree verbali, ma anche quelle addette all’identificazione degli odori, oggi gli studi più recenti rivelano che la corteccia sensoriale, connessa con la percezione del tatto, si attiva non solo attraverso “reali” sensazioni, ma anche in presenza di metafore tattili (come “voce vellutata” o “questione spinosa”).

 

caffè

 

Similmente accade con la corteccia motoria, che si attiva anche di fronte a metafore motorie (cogliere l’attimo). La lettura ci consente in questo modo di immedesimarci profondamente nei personaggi, tanto da far nostri anche i loro movimenti, fisici e mentali.

Queste tipologie di risposte neurologiche possono influire in modo considerevole il comportamento di chi ascolta e le aziende si stanno servendo sempre di più di questi risultati sulla neurobiologia della narrazione: l’ascolto conduce all’azione.

Gerald Zaltman, Professore di Business Administration presso la Harvard Business School, ha mostrato come il 95% delle nostre scelte di acquisto avvengono a livello subconscio.

“Le ricerche hanno dimostrato che non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano”, spiega Vincenzo Russo, professore di Psicologia dei consumi della Iulm di Milano e coordinatore del Neuromarketing Behavior and Brain Lab.

 

Scrivere, spiega Annamaria Testa, prima pubblicitaria donna ad entrare nell’Art Directors Club italiano, è sempre un’operazione creativa. Come la creatività, anche la scrittura – e lo Storytelling di conseguenza – è trasformazione, ovvero l’arte di unire elementi già esistenti in soluzioni nuove.

Ciò fa della scrittura il classico problema che ha inesauribili soluzioni e inesauribili miglioramenti.

Nei prossimi articoli approfondiremo proprio i meccanismi di scrittura.

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